La lesione della quota di legittima ed il rimedio dell’azione di riduzione
L’azione di riduzione: presupposti e finalità.
La lesione della quota di legittima è la situazione che si verifica quando la quota di eredità che perviene all’erede non rispetta quella minima stabilita dal Codice Civile.
Il codice, infatti, prevede che ai più stretti congiunti del defunto (il coniuge superstite, i discendenti o gli ascendenti) sia riservata una quota di eredità, detta appunto riserva.
Quando il defunto o de cuius dispone per testamento che la maggior parte dei suoi beni vadano ad uno in particolare tra i chiamati all’eredità a scapito della quota di altri, si configura la lesione della quota di legittima; la stessa situazione si verifica quando il defunto ha nominato quale “erede universale” di tutti i suoi beni uno solo tra i legittimari, di fatto pretermettendo tutti gli altri.
Quando la quota di legittima viene violata, l’erede legittimario leso o addirittura pretermesso può esperire l’azione di riduzione prevista dagli artt. 553 e ss. del codice civile, previa mediazione obbligatoria: è in buona sostanza una forma di tutela per ottenere giudizialmente la quota loro riservata per legge, previa determinazione della porzione di cui il defunto avrebbe potuto disporre per testamento ai sensi dell’art. 556 c.c.
Legittimati a proporre l’azione di riduzione sono i legittimari (il coniuge superstite, i discendenti o gli ascendenti), i loro eredi ed aventi causa (artt. 536-557 c.c.).
Al Tribunale è demandato di accertare, anzitutto, se vi sia stata effettivamente la lesione della quota di legittima ed una volta accertata la lesione, sarà dichiarata con sentenza l’inefficacia delle disposizioni testamentarie ed, in subordine, delle donazioni fatte in vita dal de cuius, così reintegrando la quota che sarebbe spettata per legge al legittimario leso o pretermesso.
Va detto che al legittimario leso o pretermesso non andrà una somma in denaro a compensazione della quota lesa, ma sarà reintegrato nella comunione ereditaria, incrementandone la quota rispetto massa ereditaria; solo dopo che la quota sarà stata reintegrata, il legittimario potrà chiedere la divisione della propria quota dalla massa ereditaria.
Condizione di ammissibilità dell’azione di riduzione: l’accettazione dell’eredità con beneficio d’inventario.
Il codice civile (art. 564 c.c.) impone quale condizione di ammissibilità dell’azione di riduzione che il chiamato all’eredità abbia accettato l’eredità con “beneficio d’inventario”; in difetto non potrà chiedere la riduzione delle donazioni e dei legati disposti nel testamento a favore di persone che non hanno la qualità di “coeredi” (Cass. civ., Sez. II, sentenza n.22632 del 03/10/2013).
Se invece le anzidette disposizioni sono state fatte a favore di persone che hanno la qualità di “coeredi”, l’accettazione dell’eredità con beneficio d’inventario non è richiesta, così come non è richiesta per il legittimario pretermesso, ossia per chi è stato del tutto escluso dal testamento, perché evidentemente essendo stato escluso non è nella condizione di poterla accettare con beneficio d’inventario (Cass. civ., Sez. II, ordinanza n.20791 del 22/08/2018).
Non è gravato dall’onere di cui al primo coma dell’art. 564 c.c. nemmeno il legittimario nel caso di apertura di successione legittima (quindi non testamentaria) priva di alcun bene, perché il de cuius ha disposto di tutti i suoi beni in vita.
La riduzione delle disposizioni testamentarie ed in subordine delle donazioni.
Non solo le disposizioni testamentarie a scapito dei coeredi possono essere colpite con l’azione di riduzione (art. 554 c.c.), ma anche le donazioni fatte invita dal defunto eccedenti la quota di cui egli avrebbe potuto disporre (art. 555 c.c.).
Possono essere colpite dall’azione di riduzione anche le donazioni di modico valore e financo le “donazioni dissimulate”, ossia le donazione simulate sotto forma di atti a titolo oneroso che il legittimario potrà provare anche facendo ricorso alla prova per testimoni e per presunzioni (Cass. civ., Sez. II, sentenza n.12317 del 09/05/2019).
La riduzione delle donazioni avviene in maniera proporzionale e cronologica, partendo dall’ultima fino a quelle più risalenti rispetto alla morte del defunto (art. 559 c.c.).
Prima si riducono le disposizioni testamentarie, poi le donazioni.
Prima di procedere con la riduzione delle donazioni fatte in vita dal defunto, si procede alla riduzione delle disposizioni contenute nel testamento. Stabilisce infatti il secondo comma dell’art. 555 c.c. che “le donazioni non si riducono se non dopo avere esaurito il valore dei beni di cui è stato disposto per testamento”.
Quando l’azione di riduzione avente ad oggetto le disposizioni testamentarie lesive della quota di legittima non è sufficiente a soddisfare le aspettative degli eredi legittimari lesi, si potrà procedere con la riduzione delle donazioni.
La prescrizione dell’azione di riduzione.
L’azione di riduzione è soggetta al termine prescrizionale ordinario di dieci anni.
Per comprendere il momento esatto a partire dal quale inizia a decorrere il termine decennale, occorre distinguere se oggetto dell’azione di riduzione siano le disposizioni testamentarie e ovvero le donazioni fatte in vita dal defunto.
La Corte di Cassazione a S.U. ha stabilito che se oggetto di riduzione sono le disposizioni testamentarie, il termine di prescrizione dell’azione di riduzione decorre dalla data di accettazione dell’eredità da parte del chiamato (Cass. civ., SS.UU., sentenza n. 20644 del 25/10/2004).
Se, invece, oggetto della riduzione sono le donazioni fatte in vita dal defunto, allora la prescrizione inizia a decorrere dalla data di apertura della successione che coincide con la morte del defunto, poiché solo con l’apertura della successione il legittimario potrà capire se la sua quota è stata lesa oppure no.
La mediazione obbligatoria quale condizione di procedibilità dell’azione di riduzione.
Ai sensi dell’art. 5 co.1-bis del D. Lgs. 28/2010, l’azione di riduzione è soggetta alla mediazione obbligatoria da esperirsi a cura del legittimario asseritamente leso (attore in giudizio) avanti ad un Organismo di Mediazione professionale riconosciuto dal Ministero della Giustizia. La mediazione obbligatoria è uno strumento deflattivo del contenzioso, che assolve allo scopo di ridurre il carico di lavoro dei tribunali.
Ove l’azione di riduzione sia stata avviata senza avere prima intrapreso la mediazione, il giudice è obbligato a sospendere il giudizio in corso e mandare le parti in mediazione; solo dopo l’infruttuoso esperimento della mediazione, il giudizio potrà proseguire.
Qualora le parti, nonostante l’ordine del giudice non diano corso alla mediazione, la causa di riduzione sarà dichiarata improcedibile.
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(a cura di Avv. Luca Conti)