Genitori separati: quando si perde il diritto di abitare nella casa famigliare
Partendo dal dato normativo, l’art. 337 sexies del Codice Civile dispone che il godimento della casa famigliare (o ex dimora coniugale) è attribuito tenendo conto dell’interesse prioritario dei figli.
In assenza di figli il Tribunale, investito da uno dei coniugi separandi della domanda di assegnazione della casa, dovrà dichiarare il “non luogo a procedere”, perché in questo caso il godimento dell’immobile sarà regolato dal relativo titolo giuridico, per esempio dal titolo di proprietà o da un contratto di locazione o di comodato.
Su questo punto si è pronunciata la Corte di Cassazione: “(…) dal momento che l’assegnazione della casa famigliare non ha natura assistenziale, per sopperire alle esigenze del coniuge economicamente più debole in assenza di figli minorenni o maggiorenni non economicamente autosufficienti il Tribunale non può assegnare il godimento della casa, ma dovrà sopperire adeguando l’importo dell’assegno di mantenimento (…)”, (Cass. Civ. dd. 22/03/2007, n. 6979).
L’art. 337 sexies c.c. parla genericamente di “figli”, non distinguendo tra figli minorenni o maggiorenni, fermi restando – invece – i requisiti necessari della “coabitazione” col genitore assegnatario e della “non autosufficienza economica” con riguardo ai figli maggiorenni.
Il principio è valido anche in sede di divorzio: l’art.6 della legge n.898/1970 (legge sul divorzio) dispone che l’abitazione nella casa familiare spetta di preferenza al genitore cui vengono affidati i figli o con il quale i figli convivono oltre la maggiore età. In ogni caso ai fini dell’assegnazione il giudice dovrà valutare le condizioni economiche dei coniugi e le ragioni della decisione e favorire il coniuge più debole.
Lo scopo, tanto dell’art. 337 sexies c.c. quanto dell’art. 6 legge n.898/1970, è quello di conservare l’habitat naturale dove i figli sono nati e cresciuti.
Su questo aspetto, la giurisprudenza si è così pronunciata: “(…) in tema di separazione e divorzio, la casa familiare deve essere assegnata tenendo prioritariamente conto dell’interesse dei figli minorenni e dei figli maggiorenni non economicamente autosufficienti a permanere nell’ambiente domestico in cui sono cresciuti, per garantire il mantenimento delle loro consuetudini di vita e delle relazioni sociali che in tale ambiente si sono radicate (…)” (Tribunale di Terni, Sent. dd. 18/03/2020; Cass. Civ., Sez. VI, Ord. dd. 13/12/2018, n.32231; Cass. Civ., Sez. VI, Ord. dd. 07/02/2018, n.3015; Cass. Civ., Sez. I, Ord. dd. 12/10/2018, n.25604; Cass. Civ., Sez. II, sent. dd. 29/01/2018, n.2106).
L’assegnazione della casa famigliare può essere inquadrata come un diritto personale di godimento atipico e di natura temporanea, destinato a venir meno nei seguenti casi:
1) quando l’assegnatario non abiti o cessi di abitare in modo stabile nella dimora famigliare;
2) quando l’assegnatario abbracci una nuova convivenza more uxorio;
3) quando l’assegnatario contragga nuove nozze.
Questo è quanto recita l’art. 337 sexies c.c.; a questi casi si dovrebbe aggiungere anche il venir meno delle esigenze dei figli, che in sede di separazione o di divorzio avevano giustificato il provvedimento di assegnazione.
Quanto al caso sub §1): va da sé che se il genitore assegnatario della casa famigliare si trasferisce altrove, verrà meno il diritto di godimento della stessa.
Ma cosa accade se sono i figli conviventi ad allontanarsi dalla casa famigliare, ad esempio per motivi di studio?
Su questo aspetto, la giurisprudenza si è pronunciata in questi termini: “(…) ove la prole non conviva stabilmente con il genitore per frequentare un corso di studi in un’altra città, ma si rechi non appena possibile nella residenza familiare, non esclude il requisito della convivenza ogniqualvolta permanga il collegamento stabile con l’abitazione del genitore, atteso che la coabitazione può non essere quotidiana, essendo tale concetto compatibile con l’assenza del figlio anche per periodi non brevi per motivi di studio, purché egli vi faccia ritorno regolarmente appena possibile (…)”, (Cass. Civ., Sez. VI, Ord. dd. 17/06/2019, n. 16134; Tribunale di Civitavecchia, Sent. dd. 18/04/2020).
Per quanto riguarda, invece, il venire meno delle esigenze dei figli che avevano giustificato il provvedimento di assegnazione, la Corte d’Appello di Palermo ha ritenuto che “(…) l’art. 337 sexies c.c. statuisce che “il godimento della casa familiare è attribuito tenendo prioritariamente conto dell’interesse dei figli”. E’ evidente che, venuto meno questo interesse, non possa che venir meno il vincolo che sulla casa familiare è stato apposto dal provvedimento di assegnazione; e ciò accade non solo quando il figlio maggiorenne raggiunga l’autosufficienza economica, ma anche nel caso in cui si verifichino dei cambiamenti nelle sue abitudini di vita, tali per cui egli cessi di abitare stabilmente con il genitore assegnatario (…)”, (Corte d’Appello di Palermo, Sez. I, Sent. dd. 25/03/2019).
Alla stregua di quanto precede, si può ritenere che la nozione di convivenza rilevante ai fini dell’assegnazione della casa familiare comporta la stabile dimora del figlio presso la stessa, sia pure con eventuali sporadici allontanamenti per brevi periodi e con esclusione dell’ipotesi di rarità dei ritorni, configurandosi solo in quest’ultimo caso un rapporto di mera ospitalità.
Deve, pertanto, sussistere un collegamento stabile con l’abitazione del genitore, caratterizzato da coabitazione che, ancorché non quotidiana, sia compatibile con l’assenza del figlio anche per periodi non brevi per motivi di studio, purché vi faccia ritorno appena possibile.
Venute meno le esigenze di coabitazione del figlio, il provvedimento di assegnazione dovrà essere revocato. Su questo punto si è espressa la Corte di Cassazione: “(…) la cessazione della convivenza tra genitore e figlio maggiorenne non economicamente autosufficiente, conseguentemente alla scelta del primo di cambiare la residenza, rispetto a quella già costituente casa coniugale, consegue la revoca dell’assegnazione della casa coniugale per carenza dei relativi presupposti (…), (Cass. Civ., Sez. VI, Ord. dd. 28/09/2017, n.22746).
Quanto al caso sub §2): dalla lettura dell’art. 337 sexies c.c. sembrerebbe a prima vista che una nuova convivenza more uxorio comporti automaticamente la revoca del provvedimento di assegnazione della casa; al contrario, bisogna distinguere caso per caso.
Infatti, se per espressa volontà del legislatore l’assegnazione della casa famigliare è sempre e comunque subordinata ad una valutazione del primario interesse dei figli (minorenni o maggiorenni non economicamente autosufficienti) a permanere nella casa dove sono nati e cresciuti, nel caso di una nuova convivenza more uxorio l’assegnatario non perderà automaticamente detto beneficio, ma spetterà al Tribunale esaminare il caso nel suo complesso, avendo sempre e comunque come primo e principale parametro di riferimento l’interesse dei figli conviventi a restare nella stessa casa insieme al genitore presso il quale sono prevalentemente allocati (Tribunale di Palermo, Sez. I, Ord. dd. 29/12/2016; Tribunale di Modena, Decreto dd. 18/04/2007).
Su questo aspetto si è pronunciata anche la Corte Costituzionale: chiamata a rendere un parere di legittimità costituzionale dell’art. 155 quater c.c. (oggi abrogato e sostituito appunto dall’art. 337 sexies c.c.) in relazione agli artt. 2, 3, 29 e 30 della Costituzione, la Corte ha ritenuto che il senso della norma succitata vada interpretato nel senso che “(…) il diritto di godimento della casa famigliare non viene meno di diritto al verificarsi della convivenza more uxorio, ma che ciò sia subordinato ad un giudizio di conformità all’interesse del minore (…)”, (Corte Cost., sent. n.308 del 30/07/2008).
Quanto al caso sub §3): va da sé che il convolare a nuove nozze con la creazione di un nuovo nucleo famigliare e la fissazione di una nuova dimora coniugale, giustificano la revoca del provvedimento di assegnazione della ex dimora coniugale.
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(a cura di Avv. Luca Conti)