L’assegnazione della casa famigliare in caso di separazione o divorzio
In caso di separazione o di divorzio, a chi spetta l’assegnazione della casa famigliare? Sul provvedimento di assegnazione incide il titolo di proprietà della casa? Ed infine, il provvedimento di assegnazione è definitivo o può essere revocato, ed in quest’ultimo caso a quali condizioni può essere revocato?
Anzitutto, nel provvedimento di assegnazione della casa famigliare è del tutto ininfluente il titolo di proprietà della stessa, posto che ai sensi dell’art. 337 sexies c.c.l’assegnazione della casa è fatta unicamente in funzione dell’interesse superiore dei figli conviventi, minorenni o maggiorenni non economicamente autosufficienti. In altri termini, la casa è assegnata a quello tra i due genitori con cui convivono stabilmente i figli.
Del titolo di proprietà si può tenere conto semmai nella regolazione dei rapporti economici tra i genitori: il genitore assegnatario della casa (di proprietà dell’altro genitore) potrà vedere limitato, se non addirittura escluso, il diritto a percepire anch’egli un assegno di mantenimento, in quanto già l’assegnazione della casa famigliare costituisce una sorta di benefit di cui godono non solo i figli conviventi, ma anche lo stesso genitore assegnatario.
Ai sensi dell’art. 708 c.p.c., nell’ambito del giudizio di separazione dei coniugi, in sede di udienza presidenziale, se la conciliazione non riesce, il Presidente anche d’ufficio sentiti i coniugi ed i rispettivi difensori dà con ordinanza i provvedimenti temporanei ed urgenti nell’interesse della prole e dei coniugi, nominando il giudice istruttore e fissa udienza di comparizione e trattazione davanti a questi.
Ugualmente ai sensi dell’art.4 n.8 della legge n.898/1970, nell’ambito del giudizio di divorzio, se la conciliazione non riesce, il Presidente sentiti i coniugi e i rispettivi difensori nonché disposto l’ascolto del figlio minore che abbia compiuto gli anni dodici e anche di età inferiore ove capace di discernimento dà anche d’ufficio con ordinanza i provvedimenti temporanei e urgenti che reputa opportuni nell’interesse dei coniugi e della prole, nomina il giudice istruttore e fissa l’udienza di comparizione e trattazione dinanzi a questo.
L’assegnazione della casa famigliare al genitore non proprietario è legittima solo ove correlata all’affidamento dei figli minori, ovvero alla convivenza con i figli maggiorenni non ancora autosufficienti, e al loro interesse alla conservazione dell’habitat familiare anche dopo la separazione dei genitori. Di talché la predetta assegnazione non può costituire una misura assistenziale per il coniuge economicamente più debole (Cass. civ. Sez. VI – 1 Ordinanza dd. 28/09/2015, n. 19193).
Alla stregua di quanto precede, in assenza di figli il giudice nulla può disporre circa l’assegnazione della casa per sopperire alle esigenze del coniuge economicamente più debole in sostituzione dell’assegno di mantenimento, dovendo emettere un provvedimento di “non luogo a procedere” posto che – come spiegato sopra – il beneficio dell’assegnazione della casa non ha funzione assistenziale (Cass. Civ., Sez. I., sentenza dd. 22/03/2007, n. 6979).
Più di recente la Corte di Cassazione (Cass. Civ., Sez. I, Ordinanza dd. 12/10/2018 n. 25604) ha chiarito che “la casa familiare deve essere assegnata tenendo prioritariamente conto dell’interesse dei figli minorenni e dei figli maggiorenni non autosufficienti a permanere nell’ambiente domestico in cui sono cresciuti, per garantire il mantenimento delle loro consuetudini di vita e delle relazioni sociali che in tale ambiente si sono radicate, sicché è estranea a tale decisione ogni valutazione relativa alla ponderazione tra interessi di natura solo economica dei coniugi o dei figli, ove in tali valutazioni non entrino in gioco le esigenze della prole di rimanere nel quotidiano ambiente domestico, e ciò sia ai sensi del previgente articolo 155 quater c.c., che dell’attuale art. 337 sexies c.c.”
Quanto alla cessazione del beneficio dell’assegnazione, la giurisprudenza di merito ha chiarito che venuto meno l’interesse dei figli di cui all’art. 337 sexies c.c., non può che venir meno il vincolo che sulla casa familiare è stato apposto dal provvedimento di assegnazione. Ciò accade non solo quando il figlio maggiorenne raggiunga l’autosufficienza economica, ma anche nel caso in cui si verifichino dei cambiamenti nelle sue abitudini di vita, tali per cui egli cessi di abitare stabilmente con il genitore assegnatario (Corte d’Appello di Palermo, sentenza dd. 25/03/2019; Corte d’Appello di Roma, sentenza dd. 08/06/2004).
L’assegnazione della casa famigliare non è mai a tempo indeterminato e di regola permane finché dura la convivenza dei figli col genitore assegnatario: divenuti economicamente autosufficienti e/o cessata la convivenza, viene meno anche il diritto all’assegnazione della casa famigliare. Inoltre, se il genitore assegnatario si trasferisce altrove, oppure abbraccia una nuova relazione more uxorio (ossia una stabile convivenza con un nuovo compagno), ovvero contrae un nuovo matrimonio, anche in questi casi il beneficio dell’assegnazione può essere revocato: la revoca, tuttavia, non è mai automatica, ma occorre sempre ponderare la nuova situazione de facto tenendo conto del prioritario interesse dei figli a permanere nella dimora famigliare.
A questo riguardo si è espresso – per esempio – il Tribunale di Modena con ordinanza dd. 18/04/2007, chiarendo che “la prova della convivenza more uxorio della madre assegnataria della casa famigliare non determina l’automatica cessazione del relativo diritto. In linea con un’interpretazione complessiva e costituzionalmente orientata della norma si impone una nuova valutazione in ordine all’effettiva sussistenza dell’interesse del figlio a mantenere il radicamento della propria dimora in tale ambiente”. In senso conforme si veda anche Tribunale Palermo, Sez. I, Ordinanza dd. 29/12/2016.
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(a cura di Avv. Luca Conti)